vendemmia romani

Nell'antica Roma la produzione del vino era una pratica molto complessa a causa della difficoltà nel gestire la fermentazione. Già durante la pigiatura dell'uva veniva distinto il vino di qualità da quello più scadente riservato al consumo dei ceti più poveri. Il vino più pregiato veniva travasato e conservato in locali che si trovavano in alto nella casa, dove si concentrava il fumo ed il calore, al contrario della vinificazione moderna che preferisce le cantine sotterranee, fresche e con il giusto grado di umidità. Per conservare o “correggere” il vino erano in uso diversi procedimenti: l'aggiunta di acqua di mare, di miele o spezie, di polvere di marmo o argilla, albume, latte di capra, bacche di mirtillo, resine ed altre sostanze. Questi accorgimenti non sono molto diversi dalle aggiunte odierne al vino; sebbene la vinificazione sia migliorata, capita ancora che il vino sia affetto da difetti o malattie curabili con metabisolfito, carbone attivo, paraffina, acido citrico, ecc.
Nell'antica Roma, a seconda del vitigno, i vini potevano essere conservati 10, 20 anche 100 anni, come oggi i vini molto invecchiati erano considerati preziosissimi.
Sulle anfore, che erano sigillate con tappi di sughero e argilla, pece o gesso, veniva apposta un'iscrizione, il “pittacium”, con il contenuto e l'anno di produzione, indicato con il nome del console in carica, in pratica l'antenata dell'etichetta.

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